lunedì 20 dicembre 2010

In margine al crollo della casa dei gladiatori di Pompei - un ricordo del prof. Giuseppe Nicolosi

Vorrei premettere alcune considerazioni sui recuperi conservativi di manufatti molto vecchi, in muratura di pietra o mattoni, eseguita con malte di calce generalmente cotta a basse temperature in fornaci a legna. Murature antiche anche di vari secoli e spesso in zona sismica.
Sono riflessioni occasionate dal crollo della casa dei gladiatori di Pompei, basate su alcuni ricordi di gioventù e sulle esperienze ed osservazioni maturate poi negli anni.
Mi sono laureato con il professor Giuseppe Nicolosi, che era titolare di Costruzioni di ponti a Roma.
Questo era il terzo corso di scienza delle costruzioni, che oltre ai ponti (allora i carichi mobili si studiavano con le linee d’influenza, e non c'erano i metodi numerici), insisteva sulla meccanica delle terre e molto sui muri di sostegno.
Non avevamo un libro, ma delle ottime dispense: credo le avesse scritte Giorgio Giannelli (che aveva scritto anche le dispense di cemento armato, dette anche “il giannellino”). Allora girava solo il libro di Cestelli Guidi, che Nicolosi giudicava di poco valore e con molti errori. In realtà questo professore era infilato un po’ ovunque e quando lo trovai consulente anche della Sogene, il mio compianto amico (e capo) Maurizio Cartoni mi spiegò che era meglio averlo amico in caso di necessità perché era infilato in tutte le commissioni.
Nicolosi poi era anche “Architetto della Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano” successore di Michelangelo, come lui scherzosamente amava definirsi: aveva, nel palazzo del Governatorato, l’ufficio che affacciava sull’abside di San Pietro, che forse è il più bello scorcio di Roma. E io sono stato nel suo studio moltissime volte a correggere la tesi di laurea nell’inverno del 1956. Questo professore aveva alcuni pallini.
Il primo era la teoria del masso illimitato di Coulomb per calcolare i muri di sostegno. Arrivato fresco fresco alla Cogeco, il direttore tecnico, l’ing. Lori, mi diede da progettare un muro di sostegno a Poggio Ameno: appena lo vide mi disse di togliermi dalla testa di usare Coulomb e il muro divenne subito molto snello. Naturalmente aveva ragione lui: credo che stia ancora in piedi. Però nessuno mi toglie dalla testa che sia meglio usare metodi conservativi piuttosto che fidarsi di Santa Pupa. Mi è capitato di verificare muri che erano crollati e le condizioni di Coulomb poi non risultavano mai soddisfatte.
Il secondo era, per la stabilità dei terreni di fondazione, la considerazione del bulbo di influenza e le interferenze fra carichi vicini. Ricordo la visita guidata ad alcuni dissesti avvenuti dalle parti della Garbatella, che anni dopo ho visto ripetersi nei pressi del Caravaggio. L’ultima volta che lo incontrai, dieci anni dopo la laurea, mi regalò la copia di un suo articolo in proposito, con una dedica affettuosa.
Il terzo era la ritrosia ad inserire il cemento armato negli interventi di risanamento e manutenzione delle strutture in muratura. Citava un caso molto interessante di una casa di suore a Roma, a tre o quattro piani e non molto vecchia, dove si spaccavano gli intonaci in continuazione, specialmente al piano terreno. L’edificio era in muratura con orizzontamenti in laterizio armato su cordoli perimetrali. Chiaramente si trattava di uno schiacciamento progressivo della muratura eseguita con malta bastarda con poca calce idrata, forse anche sfiorita. Vennero i soliti luminari e suggerirono di fare una intelaiatura interna di cemento armato che scaricasse i pesi dalla muratura.
Nicolosi prese quattro Sanpietrini (che sono i muratori della fabbrica di S. Pietro), li munì di raschietti ad uncino e per campioni gli fece togliere la malta in profondità e rinzaffare la muratura con malta buona: con molta semplicità e poca spesa risolse il problema.
Come ho già raccontato in questo mio blog, mi sono molto dedicato alla tecnologia del cemento armato (pur essendomi occupato solo marginalmente del calcolo strutturale), ma ho imparato a non mischiare capre e cavoli!
Abbiamo visto troppe volte nelle immagini dei terremoti gli orizzontamenti in c.a. scivolare interi sulle sottostanti strutture in muratura. Eppure molti progettisti prevedono ancora cordolature in c.a. e solette rigide in copertura nei lavori di recupero di strutture in pietra vecchie di secoli nei centri storici.
Io preferisco fare dei semicordoli negli orizzontamenti intermedi, con una soletta armata, sottile e collaborante con le travi ed il tavolato in legno; in copertura un tetto tradizionale in legno e pianelle (con sovrastante isolamento termico, guaina e coppi).
Ed ora entriamo nel merito del crollo della casa dei gladiatori di Pompei .
Intanto, come al solito, è scoppiata la canea giornalistico, politico, mediatica. Come al solito non è stato intervistato neanche un ingegnere per spiegare alla gente cos'era successo. Si è saputo en passant che alla fine degli anni 40 era stato fatto un consolidamento con cordoli di cemento armato e altrettanto en passant si è capito che quella era la causa del crollo.
Mi sembra che la Sovrintendenza abbia circa 170 persone e fra queste dovrebbe certamente esserci una squadretta di manutenzione. Se c’è stato il crollo si deve semplicemente al fatto che non sono stati capaci di prendere quattro operai, demolire il cemento armato e farci una bella coperturina in legno che non sarebbe costata più di 50,000-100,000 € di materiali.
Possibile che nessuno si sia ricordato che il crollo della basilica superiore di Assisi fu dovuto o quanto meno aggravato da un precedente intervento in cemento armato sulla copertura? O sono io che ricordo male?
Negli anni settanta frequentavo la Sovrintendenza di Bari che era retta dall’arch. Chiurazzi e dal suo vice arch. Mola: mi ricordo di un sopralluogo collegiale del Consiglio Superiore con loro e con personaggi del calibro di Gardella e di Quaroni.
Quelli erano tempi! Adesso nelle Sovraintendenze (regionali) ci sono quelli che hanno fatti gli esami di gruppo e ormai anche i loro allievi, magari con la laurea triennale. Poi per rimediare ci si mandano i commissari, che ci capiscono ancora meno.
Nelle mie recenti esperienze ho visto cose oscene causate principalmente da tre fattori:
-la prepotenza dittatoriale degli uffici tecnici dei Comuni e spesso anche della sovraintendenza
-l’uso dei software di progettazione usati senza sufficienti cognizioni sulle ipotesi al contorno e sul campo di validità, con la produzione di montagne di calcoli in automatico che poi nessuno sa leggere.
-la convinzione di molte stazioni appaltanti che si possano dare gli incarichi in base alle simpatie, alle clientele o alle appartenenze politiche. Non sto facendo delle considerazioni morali: alla base c’è la diffusa idea che ingegneri ed architetti siano fungibili, purchè laureati ed abilitati. Eppure nessuno penserebbe che i medici siano fungibili: chi si farebbe operare all’addome da un ortopedico, affrontare una cura oncologica con un medico generico o farsi fare un intervento di prostata da un otorino?
Invece nessuno prima di dare un incarico ad un tecnico gli chiede il suo curriculum: chi fa restauri conservativi nei centri storici non è intercambiabile con chi fa palazzi per uffici o capannoni industriali o è uno strutturista, nè chi fa l'ingegnere industriale od impiantista può occuparsi con competenza di architetura di interni o di urbanistica!
E ora diciamolo: che c’entra con tutto questo il ministro Bondi e la mozione di sfiducia?